Quante sono le declinazioni latine? Dipende: come per le coniugazioni si accetta quel criterio già adottato dai grammatici antichi di utilizzare la vocale tematica per differenziare i paradigmi flessivi. La divisione in cinque declinazioni è uno dei modi di interpretare il fenomeno; secondo altro criterio si risponde che le declinazioni sono almeno sei, in quanto la terza presenta temi in consonante e temi in semivocale I vocalizzatasi in i breve, confluite in un unico paradigma flessivo per il fenomeno dell’analogia, poiché in latino preistorico erano due serie ben distinte; l’unica differenza tuttora osservabile è il genitivo plurale, in um nei temi in consonante e in ium nei temi in semivocale. Nella terza declinazione sono confluiti anche temi in dittongo ou con successiva consonantizzazione di u, in u lunga e uno in i lunga, vis. Alla domanda si può anche rispondere che esistono due flessioni nominali, una dei nomi in vocale che comprende i sostantivi in a lunga e o breve/e breve, l’altra dei nomi in consonante e semivocale che comprende temi della terza e della quarta (la quinta è un misterium); i due paradigmi in molti casi hanno in comune al loro interno le desinenze: s comune all’ablativo e dativo plurale di tutti i temi in vocale, così come bus è in comune a quelli in semivocale e consonante. La quinta declinazione ha vocale tematica e lunga ed è chiamata mista perché condivide alcuni morfemi desinenziali della flessione tematica ed altri della flessione atematica: gen e dat sing hanno il morfema dei sostantivi tematici come il gen plur , mentre dat e abl plur rimandano allo schema della flessione atematica. Alcuni studiosi come Pisani parlano di “innovazione latina fallita”, altri di “declinazione fossile”, residuo di un modello di flessione arcaico. Segue una mappatura dei fenomeni più notevoli che interessano non la realtà del caso profondo, ma le sue realizzazioni superficiali, morfologicamente riconoscibili nelle terminazioni.
Indice
La prima declinazione
La prima declinazione è un’isoglossa di tipo primario tra latino e greco, ne indica il legame genetico. La vocale tematica a lunga si conserva solo in ablativo singolare, genitivo plurale e accusativo plurale; invece nelle altre forme si è trasformata in a breve o è scomparsa. Nella prima declinazione si osservano tre tipi di correptio, cioè abbreviazione di una vocale lunga, fenomeno più sistematico rispetto a quanto avviene nella prosodia e metrica:
– il primo tipo si trova nel nominativo e vocativo singolare, entrambe forme adesinenziali come l’ablativo singolare, ed è chiamata correptio iambica ovvero abbreviazione in origine propria di bisillabi con struttura giambica in pirrichi ed estesasi in seguito a polisillabi che avessero un giambo nelle ultime due sillabe ed infine a tutte le parole con questa serie flessiva.
– il secondo tipo si incontra in genitivo e dativo singolare, nominativo e vocativo plurale, forme desinenziali nate come bisillabe, formate da vocale tematica + desinenza i (ai), evolutesi nel dittongo ai (dittongazione, la i diventa semivocalica ed il dittongo è detto lungo, così definito in rapporto alla quantità dell’elemento vocalico, riguardo alla quantità sillabica tutti i dittonghi sono lunghi); lo stadio successivo è un dittongo breve, il passaggio avviene per la correptio tipica del dittongo lungo, realtà instabile che o si monottonga perdendo la semivocale o subisce questa correptio; questo terzo stadio si trova in autori arcaici e in Lucrezio. Il passaggio allo stadio –ae è dovuto a metafonia, estroflessione del punto di articolazione causata dalla distanza tra la pronuncia della semivocale i e quella della vocale precedente, dunque il fonema \a\ influenza il seguente e lo rende più simile ad esso. Questo fenomeno genera un dittongo improprio, poiché non è più una sequenza di vocale + semivocale; fu tuttavia considerato dittongo a tutti gli effetti, così come –oe, nella prosodia antica, per la sua grande diffusione. N. B.: in latino i dittonghi sono solo discendenti, vocale + semivocale, diversamente dall’italiano che conosce anche quelli ascendenti. L’ultimo passaggio, avvenuto nel Medioevo, è la monottongazione del dittongo improprio: si ha una contrazione tra a ed e nella pronuncia anche se si continuava a scrivere –ae, e questo scarto restò normale fino all’Umanesimo, quando già a partire da Petrarca si adattò la grafia alla pronuncia.
– Il terzo tipo è testimoniato dall’accusativo singolare, che presuppone una a lunga soggetta alla correptio tipica dei polisillabi uscenti in consonante diversa da s; la riprova del fatto che la presenza della sibilante impedisce quest’abbreviazione è data dall’accusativo plurale in –as con a lunga.
Le terminazioni di dativo e ablativo plurale non presentano alcuna vocale tematica, poichè dalla forma originaria –ais si è avuta dittongazione, poi abbreviazione del dittongo lungo e metafonia della vocale a (eis), ed infine si ha contrazione in –is. Non è stata data una spiegazione razionale al fatto che in –ai ci sia stata estroflessione di –ai e in –ais introflessione di –a.
La seconda declinazione
Nella seconda declinazione è ancora più ingente che nella prima la riduzione della presenza della vocale tematica e/o breve. Si ha un’oscillazione apofonica indoeuropea tra la forma originaria di nominativo in –os e il vocativo in –e; il vocativo deriva dal grado medio, il nominativo dal grado forte in un’apofonia di serie anit. La e sussisteva come marca del vocativo anche nei sostantivi con nominativo in –er, ma è caduta per apocope causata dalla posizione dell’accento che opera una gerarchia: le sillabe lontane da quella accentata sono soggette ad indebolimento, e ne sono effetti visibili l’oscuramento di vocali o l’apocope. e/o breve è sempre presente come vocale tematica, tranne nel dativo e ablativo plurale, che per qualcuno è atematico invece che risultante della contrazione, e il genitivo singolare che viene inteso da alcuni come risultante della contrazione di un gruppo –oi, ma da altri come forma atematica, così interpretabile perché la vocale i lunga è quella tipica della desinenza del caso (vedi ai) e non è quindi necessario postulare l’esistenza di una vocale tematica assorbita nella contrazione. Nel dativo e ablativo singolare compare la vocale o lunga con origini diverse: da *oi terminazione ricostruita isoglossa del greco, per monottongazione del dittongo lungo, è derivato il dativo, da od desinenza originaria dell’ablativo con d caduta per apocope l’ablativo. La vocale lunga non deriva da allungamento di compenso, che avviene invece all’interno di parola: viene meno un fonema che come tale ha una durata, quindi nella catena parlata è necessario riempire il vuoto lasciato dal fonema caduto, si ha una restituzione in ambito quantitativo della diminuzione per ripristinare la durata originaria. In questi casi si ha invece solo un troncamento della catena parlata alla sua fine. Anche l’accusativo os ha la vocale tematica lunga perché proviene da *ons, con semplificazione o scempiamento o aplologia del nesso consonantico ns (nesso consonantico: sequenza di due o più consonanti differenti); questo fenomeno produce allungamento di compenso. Lo stesso fenomeno accade nell’accusativo plurale della prima declinazione, dove però non ha inciso sull’aspetto della vocale tematica già lunga in origine. Anche al genitivo plurale –orum la vocale è lunga, per analogia con i sostantivi della prima declinazione, la prima è quella che influenza la seconda non solo per quanto riguarda questo fenomeno, forse perché il vocalismo lungo è più stabile ed è soggetto a meno trasformazioni di quello breve (spiegazione possibile ma non soddisfacente, è difficile trovare cause di fenomeni di tale estensione ed antichità). Nel nominativo e vocativo plurale e nell’ablativo e dativo plurale la vocale tematica è assente,cioè non è visibile perché è avvenuta una contrazione: oi si è abbreviato ed è diventato i/is. La contrazione è un fenomeno di fusione di due vocali contigue interne a parola in un’unica vocale lunga. Si tratta, come avviene nella prima declinazione nel dativo e ablativo plurale, di terminazioni non segmentabili nei loro morfemi. Altro caso di modificazione del vocalismo originario vi è nel nominativo ed accusativo singolare, passati da os/om isoglosse con il greco ad us/um per oscuramento; i nominativi asigmatici in -er deriverebbero da *pueros con sincope *puers e semplificazione del nesso consonantico realizzato mediante apocope di s in puer.
La terza declinazione
Per distinguere i temi in consonante e quelli in semivocale si osservano genitivo plurale e nominativo singolare, dove si sono conservate le differenze tra i due paradigmi flessivi: al genitivo plurale i temi in semivocale escono in –ium con vocale tematica, quelli in consonante in –um senza vocale tematica. Il nominativo singolare ha conservato l’originaria multiformità dei temi in i breve e in consonante: i temi in i maschili e femminili hanno nominativo sigmatico tematico, civis; i neutri avevano nominativo asigmatico *mari diventato poi mare, *animali diventato animal, che hanno cambiato assetto per apocope di i o per estroflessione della vocale finale. I temi in i importano le desinenze dei temi in consonante, ma l’adeguamento delle desinenze del neutro è meno sistematico di quanto avviene per i maschili e femminili: l’ablativo singolare di mare è in i, conserva il vocalismo dei temi in i, mentre in civis è diventato cive per analogia con i temi in consonante; i casi retti del neutro plurale hanno i prima della desinenza a. Nei temi in consonante il nominativo può essere sigmatico dove s sifonde variamente con le consonanti che incontra o porta a semplificazione; può anche essere asigmatico, mostrando il proprio carattere atematico (vedi consuetudo consuetudinis). I casi retti del neutro erano asigmatici e corrispondono alla pura radice di fronte a quelli in i dove erano formati dal puro tema, radice+vocale tematica. Nel dativo singolare delle due serie flessive esse apparivano identiche, con desinenza i lunga, dunque pare che esse fossero uguali in origine in questo caso. La desinenza del genitivo singolare era is con quantità breve nei temi in consonante (originaria) e lunga in quelli in i; quella dell’accusativo singolare è em per i temi in consonante, im per quelli in i; la desinenza e tipica dell’ablativo singolare dei temi in consonante ha prevalso su id diventata i per apocope di quelli in i. Nei casi diretti del plurale si è imposta non completamente la desinenza es tipica dei temi in consonante, mentre in alcuni sostantivi si osservano terminazioni in is tipiche di quelli in i, anche con temi in consonante. Nel dativo ed ablativo plurale c’è stato un passaggio di terminazione dai temi in i a quelli in consonante, ibus si è imposta a tutti i temi, ne è prova la presenza della vocale tematica anche nei sostantivi in consonante, assente in tutti gli altri casi. I casi diretti del neutro plurale hanno desinenza a breve in tutti i temi, li distingue solo la presenza o no di una vocale tematica tra radice e desinenza.
La quarta declinazione
I suoi temi sono in u breve ma presentano alternanza prosodica di quantità nella vocale tematica, seppure è breve nella maggior parte dei casi. La variazione prosodica si spiega ammettendo che questi sostantivi fossero soggetti ad apofonia indoeuropea quanto al morfema della vocale tematica. Da una parte si usa il grado normale 0 u, il grado normale medio eu e il grado normale forte ou; il ricorso ad uno di questi ultimi spiega la terminazione con vocale tematica lunga. Il grado normale 0 compare in nominativo, dativo e accusativo singolare dei nomi maschili e femminili; l’ablativo singolare ha vocale lunga ma non deriva da un grado normale forte o medio ma è frutto di analogia con la costante lunghezza del morfema che caratterizza l’ablativo singolare. Al plurale derivano dal grado 0 il genitivo, dativo e ablativo (originariamente in ubus con u breve, soppiantato dalla terminazione analogica della terza declinazione ibus; alcuni di questi (partus partubus) vengono dissimilati e distinti da eventuali omografi della terza declinazione (pars partibus; quanto ai bisillabi in cus la ragione è fonetica, c è un’originaria labiovelare che si delabializza e conserva la u per un fenomeno fonosintattico). Anche l’accusativo plurale utilizza il grado 0 ma ha vocale tematica lunga; pare che derivi da un allungamento di compenso dopo la semplificazione del nesso consonantico ns, come per lo stesso caso della seconda e della prima declinazione. Il genitivo singolare deriva dal grado normale forte ou isoglossa con il greco, dittongo breve monottongatosi in u lunga, tendenza dei dittonghi brevi latini; fanno eccezione dittonghi brevi ai e oi che diventano ae e oe, in cui la monottongazione nella pronuncia doveva essere generale nel latino tardo. Il nominativo e vocativo plurale ha vocale lunga e deriva dal grado normale medio: l’originario nominativo era in *eues, il dittongo è passato ad ou e si è monottongato in u lunga, la e della desinenza sottende un fonema semivocalico schwa.