Confrontare i consumi di una stufa a pellet e di una stufa a bioetanolo significa guardare dentro tre dimensioni che si intrecciano tra loro: quanta energia chimica contiene il combustibile, quanta di quella energia viene davvero trasformata in calore utile dentro casa e quanto costa produrre ogni chilowattora di calore in condizioni d’uso reali. Solo tenendo insieme questi tre piani è possibile capire perché due apparecchi, entrambi “a fiamma”, possano avere impatti molto diversi sulla bolletta energetica e sul comfort. La stufa a pellet nasce come generatore di calore vero e proprio, con un rendimento elevato, un controllo fine della potenza e un’installazione che prevede canna fumaria; la stufa a bioetanolo, specie nella versione decorativa senza scarico, punta su semplicità e immediatezza, ma lavora a potenze più basse e con una gestione dell’aria ambiente diversa. La guida che segue mette a fuoco questi aspetti con numeri e scenari d’uso, così da aiutarti a scegliere in modo consapevole in base a spazio, budget e obiettivi.
Indice
- 1 Energia nel combustibile e rendimento dell’apparecchio
- 2 Consumo orario e potenza erogata nelle situazioni reali
- 3 Quanto costa un chilowattora di calore con pellet e con bioetanolo
- 4 Energia elettrica accessoria e impatto sui consumi totali
- 5 Efficienza percepita, inerzia termica e comfort di utilizzo
- 6 Dimensionamento e tempi di funzionamento per uno scenario tipico
- 7 Manutenzione, pulizia e impatto sui consumi indiretti
- 8 Aspetti normativi, ventilazione e coerenza con le esigenze
- 9 Quando conviene l’una o l’altra guardando solo ai consumi
- 10 Variabili che possono cambiare il risultato
- 11 Un metodo semplice per fare i conti di casa
Energia nel combustibile e rendimento dell’apparecchio
Il primo mattone del ragionamento è la densità energetica del combustibile. Un chilogrammo di pellet di buona qualità contiene in media circa 4,8–5,0 kWh di energia termica lorda. Un litro di bioetanolo denaturato, in funzione della concentrazione, si colloca intorno a 6,5–7,5 kWh lordi. Questi numeri, presi da soli, possono indurre in errore, perché non dicono nulla su quanta parte di quell’energia finisce veramente sotto forma di calore nell’ambiente.
Il secondo mattone è quindi il rendimento. Le stufe a pellet moderne con camera chiusa e scambio forzato raggiungono tipicamente rendimenti dell’ordine dell’80–90% nelle condizioni nominali. Questo significa che, per ogni 5 kWh contenuti in 1 kg di pellet, arrivano nella stanza 4–4,5 kWh. Il resto va perduto per incompleta combustione, calore nei fumi e dissipazioni meccaniche. Le stufe a bioetanolo senza scarico, proprio perché non hanno un camino che disperde calore all’esterno, possono sembrare “senza perdite”, ma bisogna considerare che, a fronte di una fiamma pulita, non tutto il potere calorifico è sfruttato in modo efficiente e costante e che, per ragioni di sicurezza, la potenza è limitata. Nella pratica si può ragionare su un intervallo del 50–80% di energia utile, a seconda del bruciatore, del contenuto d’acqua nell’etanolo e del ricambio d’aria che si è costretti a garantire. Questo si traduce in 3,5–5,5 kWh utili per litro nelle condizioni più comuni.
Quando si mette insieme densità energetica e rendimento si capisce perché i due sistemi si collocano su gradini diversi di prestazione: un chilogrammo di pellet fornisce più o meno lo stesso calore utile di un litro di bioetanolo, ma con differenze di costo per unità di energia e di potenza disponibile che cambiano il quadro.
Consumo orario e potenza erogata nelle situazioni reali
Il terzo mattone è la potenza, cioè la velocità con cui viene erogato calore. Le stufe a pellet per uso domestico lavorano spesso in un intervallo di 2–10 kW, con modelli ad aria che coprono benissimo un soggiorno da 30–60 m² e versioni idro in grado di alimentare termosifoni. Il consumo di pellet oscilla all’incirca tra 0,6–0,7 kg/h alle potenze minime e 2,0–2,5 kg/h alle massime. Tradotto in calore utile, una regolazione intorno a 1 kg/h significa immettere nell’ambiente 4–4,5 kW continui, che sono più che sufficienti per mantenere confortevole un locale medio in mezza stagione o per contribuire in modo significativo al riscaldamento invernale.
Le stufe a bioetanolo decorative, prive di canna fumaria, per ragioni normative e di sicurezza si attestano tipicamente su potenze comprese tra 1 e 3 kW. Il consumo di combustibile viaggia nell’ordine di 0,2–0,5 L/h a seconda dell’apertura del bruciatore. Ciò significa che, a 0,3 L/h, con un contenuto energetico utile di 4–5 kWh per litro, si ottengono circa 1,2–1,5 kW di calore, più confrontabile a un grande radiatore elettrico che a una stufa vera e propria. Esistono anche caminetti a bioetanolo con bruciatori più generosi, ma l’assenza di scarico impone prudenza e ricambio d’aria, perché la combustione consuma ossigeno e produce CO₂ e vapore, elementi che a loro volta condizionano la permanenza in ambiente e la sensazione di comfort.
Quanto costa un chilowattora di calore con pellet e con bioetanolo
Il quarto mattone è il prezzo del combustibile. I mercati sono volatili, ma una forchetta ragionevole per il pellet, su base stagionale, va da 0,40 a 0,60 euro al chilogrammo, con oscillazioni legate alla qualità, al luogo e al periodo. A 0,50 €/kg, se quel chilogrammo rende 4,25 kWh utili, il costo specifico del calore risulta intorno a 0,12 €/kWh. Se il prezzo del pellet sale a 0,60 €/kg, lo stesso calcolo porta a circa 0,14 €/kWh. Questi valori non includono l’energia elettrica assorbita dalla stufa, di cui parleremo tra poco, ma danno l’ordine di grandezza.
Il bioetanolo denaturato per uso domestico si acquista in genere tra 2,0 e 3,5 euro al litro. A 3,00 €/L, con 4,5 kWh utili per litro, il costo specifico schizza a circa 0,67 €/kWh; scende a 0,44 €/kWh se si trova a 2,00 €/L e l’impianto lavora vicino al limite superiore di efficienza, ma raramente si avvicina ai valori del pellet. Questo spiega perché, a parità di calore reso, una serata accesa a bioetanolo può costare alcune volte una serata a pellet. L’ordine di grandezza non cambia molto nemmeno considerando scenari in cui il pellet tocca le fasce alte di prezzo: il differenziale resta significativo.
Energia elettrica accessoria e impatto sui consumi totali
Un elemento spesso trascurato è l’assorbimento elettrico della stufa a pellet. L’accensione richiede la resistenza di avviamento, che assorbe alcune centinaia di watt per pochi minuti, mentre in esercizio continuo la ventilazione e l’elettronica consumano in genere tra 50 e 120 W. Su una giornata di funzionamento reale, questo si traduce in circa 0,5–1,0 kWh di elettricità, che vanno aggiunti alla valutazione economica. Anche includendo questo onere, il costo complessivo per kWh termico del pellet resta nettamente inferiore a quello del bioetanolo.
Le stufe a bioetanolo meccanicamente semplici non assorbono energia perché non hanno ventilatori né resistenze; alcuni modelli elettronici con accensione automatica o controllo fiamma possono richiedere un minimo assorbimento, ma resta trascurabile. Questo è un vantaggio logistico, ma non colma il gap di costo del combustibile.
Efficienza percepita, inerzia termica e comfort di utilizzo
Oltre ai numeri, il comfort conta. La stufa a pellet ha una certa inerzia: impiega alcuni minuti per accendersi e stabilizzarsi, ma una volta a regime mantiene una potenza costante, modulabile e programmabile, con termostato e, spesso, gestione per fasce orarie. Questo si traduce in una resa prevedibile, adatta anche a sostituire o integrare un impianto fisso per più ore al giorno, con la possibilità di mantenere la temperatura senza continui interventi.
La stufa a bioetanolo regala invece una fiamma immediata e un calore piacevole nel raggio visivo, ma la potenza ridotta e la mancanza di regolazione fine la rendono adatta a usage time più brevi o a piccoli ambienti. Il calore è più localizzato, la fiamma consuma ossigeno e rilascia vapore; quindi è necessario arieggiare per qualche minuto dopo un certo periodo, pena la sensazione di aria pesante e l’aumento di umidità. Ogni ricambio d’aria smaltisce parte del calore accumulato e, in inverno, alza i consumi equivalenti.
Dimensionamento e tempi di funzionamento per uno scenario tipico
Per farsi un’idea concreta, si può ragionare su un soggiorno di 50 m² in appartamento mediamente isolato, con un fabbisogno termico di circa 80 W/m² nelle ore fredde, quindi 4 kW di potenza necessaria per mantenere 20 °C. Una stufa a pellet regolata a 1 kg/h, con 4–4,5 kW utili, è perfettamente in grado di coprire il fabbisogno senza altre fonti. Il consumo orario a 0,50 €/kg costa circa 0,50 euro, più una piccola quota di elettricità. Nell’arco di tre ore la spesa si aggira intorno a 1,6–1,8 euro, con ambiente confortevole e temperatura stabile.
Con una stufa a bioetanolo da 2 kW nominali, per fornire la stessa energia termica occorrerebbe il doppio del tempo o due bruciatori in parallelo, con consumo che a 0,3–0,4 L/h significa tra 0,9 e 1,2 litri in tre ore. A 3,00 €/L, la serata costa tra 2,7 e 3,6 euro e non raggiunge comunque la stessa uniformità, a meno di ottimizzare i ricambi d’aria e di accettare un delta di temperatura più morbido. Se il bioetanolo fosse reperibile a 2,00 €/L e la stanza fosse più piccola o ben isolata, il quadro migliorerebbe, ma resterebbe distanziato dal pellet in termini di costo per kWh.
Manutenzione, pulizia e impatto sui consumi indiretti
Un consumo non è solo combustibile. La stufa a pellet richiede svuotamento della cenere, pulizia del crogiolo e dei passaggi fumi, e una manutenzione annuale professionale per scambiatori e ventilazioni. Questi adempimenti, se trascurati, riducono il rendimento e fanno crescere i consumi a parità di calore. Tenere pulito e usare pellet certificato con basso contenuto di ceneri consente di restare in alto nella curva di efficienza reale, quindi di spendere meno per ogni kWh termico prodotto.
La stufa a bioetanolo non produce cenere, ma lascia residui di combustione leggera e necessita di pulizia del bruciatore e dei vetri. Se si utilizzano combustibili di bassa qualità, l’incombusto aumenta, la fiamma diventa meno regolare e l’energia utile cala. Anche qui la qualità del combustibile incide direttamente sul consumo apparente.
Aspetti normativi, ventilazione e coerenza con le esigenze
Il quadro dei consumi va sempre letto dentro la cornice delle regole e dell’edificio. La stufa a pellet, per lavorare in sicurezza ed efficienza, necessita di un corretto afflusso d’aria comburente e di scarico fumi a norma, elementi che hanno un costo iniziale ma che garantiscono continuità di funzionamento e salubrità. Una canna fumaria ben realizzata evita rientri di odori, assicura tiraggio e riduce la dispersione di calore involontaria. L’investimento si ripaga nell’arco di più stagioni, perché consente di usare l’apparecchio come vero generatore di calore. La stufa a bioetanolo, sprovvista di scarico, non è autorizzata come sistema di riscaldamento primario e richiede comunque locali capienti e aerazione periodica per rientrare nei parametri di sicurezza. Questo non è un dettaglio secondario: ogni ricambio d’aria necessario per mantenere l’ambiente salubre aumenta il fabbisogno termico effettivo e, dunque, i consumi.
Quando conviene l’una o l’altra guardando solo ai consumi
Se l’obiettivo è coprire un fabbisogno termico rilevante per molte ore al giorno e per tutta la stagione, il pellet ha un profilo di consumo specifico nettamente più favorevole. Il costo per kWh termico, anche includendo l’energia elettrica di esercizio e le manutenzioni periodiche, resta competitivo. Il controllo di potenza, la possibilità di programmare accensioni e spegnimenti e la compatibilità con ambienti medio-grandi completano il quadro.
Se l’obiettivo è una fiamma d’atmosfera, un contributo di calore rapido e occasionale, l’assenza di lavori di installazione e il vincolo di non poter tracciare scarichi, il bioetanolo offre una soluzione immediata. Dal punto di vista dei consumi, però, il calore prodotto costa sensibilmente di più, il che suggerisce un uso sporadico e mirato. In spazi molto piccoli, isolati e per sessioni brevi, la differenza economica pesa meno, ma non scompare.
Variabili che possono cambiare il risultato
Non esiste un unico numero valido per tutti, perché diverse leve possono muovere l’ago. I prezzi di mercato del pellet e del bioetanolo non sono fissi e possono variare sensibilmente in stagione. La qualità del combustibile incide sui rendimenti reali. L’isolamento termico dell’abitazione e la sua inerzia modificano la potenza necessaria e quindi i consumi orari. Il modo d’uso cambia molto l’efficienza: accensioni e spegnimenti frequenti penalizzano il pellet per via delle fasi di avviamento; tenere il bruciatore del bioetanolo al massimo accorcia la durata per litro e può peggiorare la combustione se l’aria è insufficiente. Anche la posizione dell’apparecchio è determinante: una stufa a pellet in un angolo con scarso ricircolo scalda peggio e consuma di più a parità di potenza nominale; un biocamino incassato senza adeguati apporti d’aria degrada la combustione e riduce l’energia effettivamente trasferita.
Un metodo semplice per fare i conti di casa
Per scegliere con numeri tuoi, puoi costruire una piccola scheda di calcolo. Stima innanzitutto la potenza media necessaria per l’ambiente moltiplicando i metri quadrati per un fabbisogno specifico plausibile in base all’isolamento, ad esempio 50–80 W/m² per case recenti di pianura in inverno. Moltiplica questa potenza per le ore di utilizzo tipiche della tua giornata di riscaldamento. Confronta poi il costo per kWh termico dei due sistemi usando i prezzi che trovi oggi vicino a te. Se per il pellet prendi 0,50 €/kg e un rendimento dell’85%, ottieni circa 0,12 €/kWh. Se per il bioetanolo consideri 3,00 €/L e 4,5 kWh utili per litro, ottieni circa 0,67 €/kWh. Moltiplica il fabbisogno giornaliero di calore per questi costi specifici e guarda il risultato. Inserisci nel conto anche il consumo elettrico della stufa a pellet, aggiungendo circa 0,15–0,30 euro al giorno in base alle ore di uso e alla tariffa elettrica. In questo modo trasformi la discussione in una stima personalizzata e non in un confronto astratto.