Quando si parla di “grammatiche” bisogna prima di tutto fare una distinzione molto importante: ci sono, infatti, “grammatiche prescrittive” e “grammatiche descrittive”. Le prime ci dicono come dobbiamo usare la lingua per parlare un italiano perfetto, le seconde, invece, ci descrivono come la lingua viene usata. Questa distinzione spesso si riflette nei manuali di lingua italiana: quelli per studenti italiani sono normalmente prescrittivi, quelli per studenti stranieri sono al contrario descrittivi. Ciò significa che questi ultimi sono molto più attenti all’uso dell’italiano.
Nella lingua parlata di ogni parte d’Italia, aldilà delle differenze dovute al sostrato dialettale, è possibile individuare alcuni fenomeni legati all’oralità. Data la particolare storia linguistica dell’italiano, fortemente ancorata alla tradizione letteraria, questi fenomeni sono stati “accettati” solo di recente, nonostante siano attestati anche nelle opere dei secoli passati, soprattutto in quelle che più di altre volevano dare una maschera di oralità al testo, in particolare i testi teatrali.
Parlando di questi fenomeni, ci riferiamo in particolare alla riduzione del sistema pronominale. Fino a pochi anni fa, gli studenti si trovavano di fronte a una serie di pronomi di terza persona difficilmente gestibile: “esso”, “egli”, “ella”, “lui”, “lei”, “loro”, “gli”, “le”, etc… Negli ultimi anni, il processo di semplificazione e di economia che ha investito la lingua italiana, ha ridotto drasticamente i pronomi di terza persona: “lui/lei/loro” vengono usati comunemente come pronomi soggetto (al posto di “egli/esso/ ella/ essa/ essi/esse/loro”) oltre che oggetto, “gli” rappresenta oltre al pronome indiretto maschile singolare, l’indiretto maschile plurale e sempre più spesso sostituisce anche “le” (indiretto femminile singolare). Le grammatiche più recenti hanno definitivamente accettato questi cambiamenti (ad eccezione di “gli” al posto di “le”) rendendosi conto che la lingua italiana si sta effettivamente modificando.
Fra gli altri fenomeni tipici dell’oralità e che per il momento, tuttavia, non possono contare su un riconoscimento normativo, ricordiamo:
la riduzione del sistema dei pronomi relativi: praticamente dimenticato “il quale”, il “che” viene ad assumere anche i valori di “cui” spesso con ripresa pronominale (per es., quel ristorante che ci sono andato ieri, il giorno che ti ho incontrato);
uso delle congiunzioni che reggono l’indicativo: per es., “anche se” al posto di “sebbene”, il significato è lo stesso ma la prima congiunzione regge l’indicativo, la seconda il congiuntivo;
espansione dell’indicativo a danno del congiuntivo;
uso della frase scissa: per es., è di questo che ti volevo parlare al posto di ti volevo parlare di questo;
dislocazioni a destra e a sinistra con ripresa pronominale: per es., le ho mangiate tutte le mele (dislocazione dx), le mele, le ho mangiate tutte (dislocazione sn);
A proposito degli ultimi due punti, dobbiamo precisare che si tratta della messa in atto di strategie di focalizzazione che sono tipiche del parlato. Per quanto riguarda invece la ristrutturazione dei tempi e modi verbali, bisogna sottolineare che il congiuntivo sta perdendo terreno soprattutto nelle interrogative indirette, nelle relative, restrittive e dopo i verbi “dire” e “sapere” nella forma negativa. I tempi dell’indicativo che hanno maggiori impieghi sono il presente e l’imperfetto, in quanto possono assumere su di sé anche usi diversi dal semplice rapporto temporale (pensiamo agli elementi discorsivi come “diciamo…”, “va bene…” e all’uso dell’imperfetto di cortesia, del tipo “volevo provare quel paio di pantaloni”).
Tutti questi fenomeni che abbiamo descritto identificano una particolare varietà dell’italiano che viene definita “italiano neostandard” o “dell’uso medio”; ci aspettiamo che presto questi vengano inseriti in tutte le grammatiche della lingua italiana visto che caratterizzano la nostra lingua